Abolizionismo negli Stati Uniti d'America

Urna di raccolta fondi per la Massachusetts Anti-Slavery Society, c. 1850

L'abolizionismo negli Stati Uniti d'America è stato il movimento che, prima e durante la guerra di secessione americana, lottò per porre termine alla schiavitù negli Stati Uniti. Nelle Americhe e in Europa occidentale, l'abolizionismo era un movimento che proponeva di porre fine alla tratta atlantica degli schiavi africani e liberare quelli assoggettati a schiavitù. Nel XVII secolo, i quaccheri inglesi e gli evangelici negli Stati Uniti condannarono la schiavitù come non cristiana. A quel tempo, la maggior parte degli schiavi erano africani, ma migliaia di nativi americani erano rimasti in schiavitù. Nel XVIII secolo, fino a sei milioni di africani erano stati trasportati verso le Americhe in stato di schiavitù, almeno un terzo di loro su navi inglesi. L'abolizione faceva parte del messaggio del primo grande risveglio degli anni 1730 e 1740 nelle Tredici colonie.

Nello stesso periodo, i pensatori razionalisti dell'Illuminismo criticarono la schiavitù per aver violato i diritti umani[1]. Un membro del Parlamento britannico, James Edward Oglethorpe, fu tra i primi ad articolare l'Illuminismo contro la schiavitù. Fondatore della Provincia della Georgia, Oglethorpe vietò la schiavitù per motivi umanistici. Egli agì contro di essa in Parlamento e, infine, incoraggiò i suoi amici Granville Sharp e Hannah More a proseguire con forza per la riuscita della causa. Poco dopo la sua morte, nel 1785, Sharp ed altri si unirono a William Wilberforce per costituire la setta di Clapham. Anche se i sentimenti anti-schiavitù erano diffusi dal tardo XVIII secolo, le colonie e le nazioni emergenti, in particolare nel sud degli Stati Uniti, continuarono ad utilizzare e sostenere le tradizioni di schiavitù.

Dopo che la rivoluzione americana portò alla fondazione degli Stati Uniti d'America, gli Stati del Nord, a cominciare dalla Pennsylvania nel 1780, approvarono una legge che nel corso dei successivi due decenni doveva abolire la schiavitù, a volte tramite una graduale emancipazione. Il Massachusetts ratificò una costituzione che dichiarò tutti gli uomini uguali; le freedom suits, che sfidarono la schiavitù basandosi su questo principio, portarono alla fine della schiavitù nello Stato. In altri Stati, come la Virginia, simili dichiarazioni dei diritti vennero interpretate dai giudici come non applicabili agli africani. Durante i successivi decenni, il movimento abolizionista crebbe negli Stati del Nord, e il Congresso regolò l'espansione della schiavitù via via che nuovi Stati vennero ammessi nell'Unione. Il Regno Unito vietò l'importazione di schiavi africani nelle sue colonie nel 1807 e abolì la schiavitù nell'impero britannico nel 1833. Gli Stati Uniti criminalizzarono il commercio internazionale degli schiavi nel 1808 e resero la schiavitù incostituzionale nel 1865 come risultato della guerra civile americana.

Lo storico James M. McPherson definì un abolizionista "come colui che prima della guerra civile era agitato per l'abolizione immediata, incondizionata e totale della schiavitù negli Stati Uniti." Egli non incluse gli attivisti anti-schiavisti come Abraham Lincoln, presidente degli Stati Uniti durante la guerra civile, o il Partito Repubblicano, che prevedeva la progressiva fine della schiavitù.[2]

  1. ^ Alessandro Tuccillo, Antiesclavagisme sans colonies : Illuminisme et esclavage colonial, in "Dix-huitième siècle" 2013/1 (nº 45).
  2. ^ James M. McPherson, The Abolitionist Legacy: From Reconstruction to the Naacp, Princeton University Press, 1995, p. 4.

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